Le origini

La chiesa di Sant’Apollinare è sicuramente di fondazione assai più antica di quanto suggerito dal suo aspetto attuale. La prima menzione nei documenti risale al 1214, quando le comunità di San Giovanni e Sant’Agata scelsero questo luogo come sede per risolvere una delicata vertenza sui confini delle rispettive giurisdizioni. Come si apprende
dagli estimi medioevali del Comune di Bologna, un secolo dopo la chiesa risulta già essere parrocchiale, con beni fondiari nel quartiere di San Lorenzo.

Nel 1436 la chiesa, ormai fatiscente, fu ricostruita nelle sue forme attuali da mastro Giovanni Ferrari, un persicetano famoso per le sue opere di pietà religiosa, a cui, dopo il restauro, fu affidato anche il giuspatronato sulla chiesa e, quindi, il controllo sui fedeli e sulle rendite della parrocchia. Nel 1573 Sant’Apollinare necessitava di restauri e disponeva di rendite considerate insufficienti, fu allora che monsignor Ascanio Marchesini, in visita apostolica, ridusse la parrocchia a “beneficio semplice” attribuendo i
600 parrocchiani alla chiesa principale, la Collegiata di S. Giovanni Battista.

Il legame di patronato della famiglia Ferrari con Sant’Apollinare continua ad essere attestato negli anni 1626 e 1630, quando risultavano essere rettori della chiesa don Giovanni Maria Ferrari e don Francesco Ferrari. A quest’ultimo si deve probabilmente un tentativo di “rilancio” del luogo di culto volto ad aumentarne il prestigio e ad
incrementare l’affluenza di fedeli e i relativi lasciti. Ne sono testimonianza un bando a stampa del 14 luglio 1632, con il quale papa Urbano VIII conferiva indulgenza plenaria, valida per sette anni, a tutti coloro che “devotamente visiteranno ogn’Anno la Chiesa di Sant’Apollinare nella Festa del medesimo Santo in S. Gio. in Persicetto”, nonché, cinque anni dopo, la committenza di una nuova pala d’altare affidata al pittore di origini milanesi Pier Francesco Cittadini.

 

Declino e restauro

Dopo un periodo di rinnovato splendore, la chiesa iniziò un lento ed inesorabile declino: nel XIX secolo fu profanata ben due volte.
Riaperta al culto all’inizio del ‘900, divenne alloggio di fortuna per le truppe durante la Grande Guerra e per i senzatetto negli anni ‘20.
Nel 1932-33, a causa dell’incuria dei proprietari, si verificò un parziale crollo del tetto cui fece seguito, nel 1951 e 1954, l’abbattimento dell’intero coperto per ragioni di sicurezza. Nel secondo dopoguerra fu definitivamente sconsacrata.

Dopo l’acquisizione da parte del Comune nel 1984, la chiesa è stata restaurata e convertita in spazio culturale di grande suggestione.

 

Un esempio di tardo gotico

Caratterizzata da eleganti linee quattrocentesche con elementi tardo gotici, la chiesa ha una pianta rettangolare con abside poligonale.
Sulla facciata si apre un bel portale con arco a tutto sesto sormontato da un oculo. Il portale ligneo originario del 1449 è attualmente custodito presso il Museo Archeologico. Pregevoli formelle in cotto a motivi vegetali ornano gli archi del portale principale e di quello laterale, nonché il bordo dell’oculo. Nelle pareti, scandite da pilastri e un tempo decorate da affreschi ormai scomparsi, si aprono strette finestre a sesto acuto. Secondo quanto riportato da documenti del XVI-XVII secolo, la chiesa al suo interno contava tre altari ed era affiancata da un cimitero recintato.

 

Uno spazio che si rinnova

Fin dai primi anni ’80, con l’acquisizione da parte del Comune, la chiesa è stata utilizzata per l’allestimento di diverse esposizioni artistiche, dalle rassegne di pittura contemporanea alla tradizionale mostra dei presepi. L’atmosfera raccolta del luogo si presta infatti alla valorizzazione di opere d’arte come anche ad eventi musicali, ad
esempio concerti di chitarra o di musica da camera.